• Il sogno della borghesia. Tiezzi mette in scena Calderón di Pasolini

    Sono passati quasi quarant’anni da quel Calderón che costituì una delle perle del Laboratorio condotto a Prato da Luca Ronconi. E nella memoria dello spettatore di allora resta indimenticabile la platea del teatro Metastasio alzata al livello del palco e invasa per intero dalla scena di Gae Aulenti su cui correva l’emozionante Rosaura di Gabriella Zamparini, nella prima delle due serate in cui era suddiviso lo spettacolo. Lo ricorda giustamente anche Federico Tiezzi che ora è tornato a mettere in scena il testo di Pasolini al teatro Argentina (la produzione è firmata dal Teatro di Roma e da quello della Toscana). Ma la vera distanza con cui deve misurarsi il regista pare essere quella che ci separa, culturalmente prima di tutto, dal momento in cui lo scrittore friulano poneva mano al suo teatro. Un teatro che lo stesso Pasolini definiva quasi “postumo”, scritto nel giro di poco tempo, sul finire degli anni sessanta e praticamente mai rappresentato prima della morte dell’autore.

    Quasi postumi oggi siamo noi, in qualche modo, rispetto a un momento storico così colmo di speranze e utopie rivoluzionarie (a teatro poi! il 1967 in cui scrive Pasolini è anche l’anno del convegno che a Ivrea ufficializzava la nascita di un nuovo teatro in Italia). Che precipita per intero dentro il Calderón, quasi un archetipo del “teatro civile” propugnato da Pasolini ma anche un condensato scenico della sua visione storica, con le polemiche che da “corsaro” andava suscitando anche a sinistra. Teatro di parola, per definizione. Prossimo a una forma di poesia orale, da ascoltare più che da vedere, dove le idee sono i reali personaggi. Era questa almeno la poetica teatrale enunciata da Pasolini nel suo stizzoso Manifesto che sembrava allontanarlo di fatto dalle scene.

    Oggi la prospettiva ci appare di fatto rovesciata. Pasolini è forse l’autore italiano più rappresentato sulle nostre scene, nel panorama del secondo Novecento. Il moltiplicarsi degli allestimenti significativi, da Castri a Latella, ce lo restituisce proprio come funzionante macchina teatrale, per quanto poco spettacolare. E Calderón ci appare per quello che è, un classico. Come tale aperto a una molteplicità di letture e di possibili interpretazioni sceniche. Interessante è piuttosto verificare come temi ancora attuali all’epoca del Laboratorio di Prato (il Sessantotto, la guerra di Spagna, l’Olocausto …) possano presentarsi agli occhi di generazioni più giovani che ne hanno forse, quando l’hanno, una visione mitica.

    Tiezzi Calderon Rosaura 1

    Per accostarsi a Calderón, Tiezzi ha scelto una chiave di eclettismo che non gli è estranea e la struttura drammaturgica può giustificare, spostandosi l’azione apparente attraverso tempi e contesti sociali diversi. Al centro sta infatti la ricerca di un’identità da parte della protagonista che si sfrangia attraverso tre sogni, con un’eco de La vita è sogno resa trasparente dal titolo. Rosaura si risveglia dapprima in una famiglia aristocratica della Spagna franchista, poi miserabile prostituta in una borgata di Barcellona, da ultimo borghese qual è in realtà. Ma qual è la realtà della borghesia è appunto il tema ideologico proposto da Pasolini.

    Calderón regia di Federico Tiezzi - Sandro Lombardi - foto di Achille Le Pera (2)Eccola infatti, per tre volte, spingere  avanti verso il centro della scena il letto che rappresenta il luogo attorno a cui tutto si impernia. Da cui salta su con quell’angosciato “dove sono?” che ne misura lo spaesamento, accanto alla sorella che stenta a prenderne sul serio le parole. Come altri, anche Tiezzi ha scelto di triplicare la figura della protagonista, di suddividerla cioè fra tre diverse interpreti, con un’adesione anche fisica a quello che resta comunque un personaggio assente. Lasciando che attorno a lei si sviluppino quei diversi mondi che non sottostanno a obblighi di realismo, senza mai uscire però dalle concentrazionarie pareti di mattoncini grigi dove Gregorio Zurla inscrive le tracce delle Meninas di Velázquez – uno specchio, l’apertura di una porta da cui qualcuno si affaccia sul fondo… E infatti nel sogno cala dall’alto per l’adolescente Rosaura della sorprendente Camilla Semino Favro il fastoso abito seicentesco dell’infanta Margarita, a dare concretezza visiva al dipinto evocato da Pasolini, ma attorno a lei è tutta una clownerie di volti imbiancati e parrucche esagerate. E i frequentatori della casa in cui è reclusa la Rosaura proletaria di Lucrezia Guidone hanno costumi da Arlecchino picassiano. E persino la casa borghese dov’è stata reintegrata la Rosaura di Debora Zuin, dove ora è apparso il grande tavolo da pranzo d’epoca che ne rappresenta quasi un simbolo, è scossa da un vento di follia e invasa dalle voci di quel Maggio contro cui lo scrittore aveva avuto parole durissime, dopo gli scontri di Valle Giulia.

    Foto di Achille Le Pera

    Foto di Achille Le Pera

    Di fronte a lei si pone la figura del padre-marito che non a caso assume il nome calderoniano di Basilio, come il re de La vita è sogno che aveva fatto rinchiudere nella torre il figlio Sigismondo. Incarnazione del potere a cui si somma anche il ruolo di speaker (e dunque voce dell’autore) nell’interpretazione di Sandro Lombardi, ormai grande attore di tradizione, capace di coniugare una sorta di epicità al tono grottesco (e fra i tanti interpreti dell’impegnativo spettacolo vanno citati almeno la partecipazione ‘straordinaria’ di Francesca Benedetti e il moltiplicarsi in diversi ruoli di Graziano Piazza). A cui lei invano tenta di sottrarsi rifugiandosi nella malattia o appunto nel sogno, dove l’incesto sfiorato rappresenta la più estrema forma di ribellione immaginabile. Non se ne esce. L’ultimo risveglio avviene dentro un lager da dove Rosaura sogna di essere liberata da un esercito di operai con le bandiere rosse. Ma questo è proprio un sogno, giacché non potrà mai essere la realtà, le risponderà lui. E su questo almeno Pasolini è stato buon profeta.

    Post Tagged with ,