• L’arte teatrale minacciata dalla politica. Il discorso di Ursina Lardi a Venezia

    Perché pubblichiamo questo discorso

     

    Nei giorni scorsi la Biennale teatro di Venezia, come abbiamo già riferito, ha attribuito il Leone d’Argento a Ursina Lardi. Alla consegna del premio, la grande attrice svizzera, che da tempo fa parte dell’ensemble della Schaubühne berlinese, ha rotto il consolidato rituale dei ringraziamenti e delle frasi d’occasione. Davanti al Ministro della cultura Alessandro Giuli, piovuto a Venezia “a sorpresa” per sovrintendere all’evento, l’attrice ha pronunciato un atto d’accusa senza sconti contro i sempre più brutali interventi a gamba tesa della classe politica nei confronti di chi produce cultura. Contro la mancanza di rispetto che la classe politica manifesta per chi fa teatro. Tanto che lo stesso atto di andare in scena, “con forza e fragilità”, dice Ursina Lardi, è diventato un necessario atto di resistenza.

    Pubblichiamo questo testo perché questo grido non resti isolato. Perché riguarda anche noi. Perché è diventato intollerabile il livello di spudorata arroganza con cui il consociativismo di ministri, governatori, sindaci, assessori e faccendieri di diverso colore pretende di spartirsi gli incarichi, a cominciare dalla direzione dei teatri pubblici e degli enti lirici, nell’indifferenza priva di vergogna per qualsiasi criterio di competenza. Quanta farsa!

    E chi si candida a sostituire l’attuale governo dovrebbe per prima non chiudere gli occhi. Non ha niente da dire?

    Avrebbe detto Pasolini: noi sappiamo i nomi. Tutti sanno i nomi.

    g.m.

     

    Foto di Nurith Wagner-Strauss

     

    Discorso di Ursina Lardi alla consegna del Leone d’Argento della Biennale

     

    Desidero ringraziare il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, il team del settore Teatro e specialmente il suo direttore artistico William Dafoe per questo straordinario riconoscimento.

    Vorrei inoltre salutare con affetto i miei ospiti – la mia famiglia, i miei amici – venuti dalla Svizzera, dalla Germania e dall’Irlanda per festeggiare insieme a me questo giorno.

    Ringrazio le artiste e gli artisti che mi hanno accompagnata lungo il mio cammino, stimolandomi, sfidandomi, criticandomi, facendomi volare.

    Un ringraziamento speciale va a Milo Rau, Thorsten Lensing e a tutti coloro che lavorano alla Schaubühne, di cui faccio parte da molti anni come membro dell’ensemble.

    Ammetto che ho sempre fatto fatica a prendere troppo sul serio il valore dei premi – a volte persino quando ero io stessa a riceverli.

    Allora perché oggi è diverso?

    Forse il valore di una cosa si coglie davvero soltanto quando quella cosa è minacciata. Questa minaccia non riguarda me stessa ma ciò che questo premio rappresenta: il rispetto e la stima per l’arte.

    Soprattutto in tempi come questi, con le destre estreme e libertarie ma anche con forze conservatrici più moderate che continuano a smantellare e annientare non solo i finanziamenti e le infrastrutture, ma le condizioni stesse che rendono possibile l’arte, fare teatro è diventato, di per sé, un atto politico.

    Il teatro, nel solo fatto di esistere, ci rivela come possiamo essere liberi. Ci impedisce di dimenticare ciò che l’uomo sa dell’uomo.

    La settimana scorsa, durante un’intervista, una giornalista mi ha detto: «Del teatro si parla sempre meno, e sempre più a fatica» – una frase terribile, significativa.

    Il teatro e l’arte in generale stanno vivendo una profonda perdita di significato.

    E non è soltanto una questione di tagli: non vengono meno solo i finanziamenti, ma anche il rispetto e la considerazione per chi fa cultura.

    Veniamo ridicolizzati, dichiarati inutili, superflui e innocui.

    E questo mi ferisce più di ogni censura, più di qualsiasi forma di pressione.

    I toni si sono fatti crudi, aggressivi. Ovunque. Quanta farsa! Quanto fumo!

    La classe politica entra in scena a gambe larghe, brutale, virile fino al grottesco, quasi primordiale, disumana.

    L’impatto è enorme. Paura, terrore, ogni giorno, e quel tintinnio di sciabole che risuona dappertutto. E dappertutto risposte semplici a domande complesse.

    In un clima come questo, ogni pensiero sfumato, ogni volto sensibile, ogni gesto di tenerezza, ogni tono lieve e sottile si impone come una presenza irrompente. Disturba. E agisce come mezzo di contrasto.

    E quindi sì, ha una sua logica se oggi è politicamente in voga banalizzarci e tentare di prosciugarci.

    Ora più che mai noi, protagonisti dell’arte e della cultura, dobbiamo unirci, stringerci in solidarietà, e opporci ai tentativi di metterci gli uni contro gli altri nelle imminenti lotte per la distribuzione delle risorse.

    Dobbiamo confrontarci – sul palcoscenico e fuori – con tutte le questioni urgenti che la nostra contemporaneità ci impone, ma non dobbiamo ridurci a un semplice riflesso delle decisioni politiche – questo potere su di noi non dobbiamo concederlo.

    Per questo, torniamo all’arte quanto prima. Vorrei leggervi una poesia di Walt Whitman:

    Chissà?

    Quasi non si osa dirlo.

    I tempi lunghi, lunghissimi, le strade, i paesaggi,
    le costellazioni, la Via Lattea…

    I battiti della natura raccolti,

    tutte le epoche svelate nel più profondo 

    Ricordi di passioni, di eroi, di guerre, di amori, di adorazione 

    Tutte le vite umane, le voci, i desideri, i pensieri…

    Tutte le esperienze sono state pronunciate… Eppure:

    dopo innumerevoli canti, lunghi o brevi,
    in ogni lingua, di ogni terra…

    qualcosa ancora non è stato raccontato – né a voce, né per iscritto. 

    Qualcosa manca.

    Chissà… forse il meglio, ancora inespresso…

     

    Amici, come vedete, c’è ancora molto da fare.

    La complessità del mondo sfugge alla presa delle ideologie,

    e l’arte è uno strumento potente per comprendere e dare forma al nostro tempo.

    Non ci resta che andare avanti –

    e anche se, talvolta, di questi tempi, ci sentiamo indifesi,

    non importa:

    l’arte sarà forse indifesa, 

    ma è – e resterà – indistruttibile.

    Nella motivazione del Leone d’argento, Willem Dafoe parla della radicalità e dell’empatia nel mio modo di recitare. Esatto! Dobbiamo essere radicali, dobbiamo essere empatici!

    Celebriamo la capacità umana di poter fare un passo di lato –
    nonostante tutto,
    nonostante gli intrighi del quotidiano e del presente politico –
    e di muoverci liberamente su un palcoscenico.
    Senza paura, senza riserve.
    Con forza e fragilità,
    con la mente lucida e il cuore in fiamme.
    Perché questo è resistenza.

     

    © Ursina Lardi

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