• Le retour, ritratto di famiglia in un interno d’epoca. Bruno Ganz interpreta Pinter

    All’Odéon si era andati soprattutto per vedere Bruno Ganz, protagonista (al vertice di un cast imponente, Emmanuelle Seigner, Pascal Greggory, Louis Garrel…) di Le retour, come suona nella nuova traduzione francese di Philippe Djian l’ormai classico e tuttavia ancora sorprendente The homecoming di Harold Pinter, ospitato a Milano dal Teatro Strehler che del teatro parigino è un po’ l’omologo. Del Ritorno a casa si ricorda in anni lontani una assai bella messinscena di Carlo Cecchi con un indimenticabile Paolo Graziosi nei panni del vecchio patriarca che comanda stizzoso su un universo domestico tutto maschile. Se Cecchi recitava Pinter attraverso Eduardo, fuori da ogni travestimento metafisico, qui la regia di Luc Bondy, che dell’Odéon è diventato di recente direttore artistico, punta diritto a un realismo che certo era anche nelle intenzioni del drammaturgo inglese.

    Ecco infatti un interno d’epoca ricostruito minuziosamente sulla scena che si proietta di sbieco dentro le prime file della platea, in mezzo al pubblico. Gran disordine di bottiglie vuote e giornali per terra, cui qualcuno dovrebbe porre rimedio. Si capisce dove si andrà a parare, il ritorno necessario è quello di una seconda madre, mentre li si vede all’opera con aspirapolvere da passare e vetri da lucidare, per non dire dei pasti che nessuno ha voglia di cucinare. E tutto quel berciare reciproco, quel rinfacciarsi gesti parole e intenzioni, sarà pure questione di classe sociale ma non di meno prodotto dell’impropria convivenza di un microcosmo maschile dove ciascuno tira a preservare un proprio territorio – e il vecchio patriarca un potere che non ha più.

    Il ritorno inatteso del figlio da sei anni in America porta con sé anche l’ingresso in scena di una figura femminile, la donna che ha sposato poco prima di partire, vestitino corto e capelli a frangetta raccolti dietro sulla nuca come usava negli anni sessanta del Novecento. Quello è il periodo (la commedia è del 1965) e la messinscena non tralascia di ricordarcelo, fra un Sunny afternoon dei Kinks e la My generation degli Who, con quel (generazionale appunto) “spero di morire prima di diventare vecchio” che qui trova qualche motivo di adesione.

    Bruno Ganz è bravissimo, sembra quasi superfluo dovere dire, con quella voce impastata da troppo alcol e troppe sigaretta, le mani infilate dentro i calzoni del pigiama, gli slittamenti verso una memoria forse immaginaria che nessuno comunque vuole ascoltare, gli scatti rabbiosi. E tutti gli altri ugualmente impeccabili. Nuoce forse allo spettacolo la volontà di Bondy di rendere accessibile il testo, di spianarne le asprezze che pure ci sono, di illuminarne le zone d’ombra. La butta sulla psicologia, sul ritratto di famiglia in un interno d’epoca. Alla fine tutto è chiaro ma anche un poco inutile.

     

     

    Post Tagged with , ,