• Uno strappo sul volto del figlio di Dio

    Non sarebbe di per sé una notizia, lo spettacolo gira da un anno e mezzo per i teatri d’Europa, anche in Italia è stato rappresentato in più di una città. Ciò che d’improvviso ha fatto diventare un caso la rappresentazione milanese di Sul concetto di volto nel figlio di Dio (anche da parte di media che mai si occupano della cultura teatrale di questo nostro paese, metti il televisivo Che tempo che fa di Fabio Fazio) è la violenta contestazione scatenata da gruppi che si suole definire integralisti cattolici, per un effetto di imitazione delle manifestazioni ostili promosse in Francia contro Castellucci e Rodrigo Garcia da fanatici della stessa pasta, movimenti dell’estrema destra cristiana come l’istituto Civitas di quell’Alain Escada che propugna una sorta di nazional-cattolicesimo. Aggressioni agli spettatori, tentativi di interrompere lo spettacolo, tanto da costringere gli artisti ad andare in scena in un vero e proprio stato d’assedio, con i blindati della polizia schierati intorno ai teatri e centinaia di gendarmi in tenuta antisommossa. Come forse sarà anche a Milano. Mentre la rete fa da moltiplicatore dell’indignazione, rilanciando minacce e “informazioni” sempre più deliranti (come chi manifesta scandalo e disgusto per una “squallida opera teatrale” in cui il volto di Cristo viene imbrattato con diversi escrementi, cosa di cui nello spettacolo ovviamente non c’è traccia…).

         

    Ciò che desta un’amara preoccupazione è la rincorsa di queste frange estremiste da parte delle gerarchie ecclesiastiche, con tanto di messe di riparazione per quelle che si ritengono offese alla fede cristiana. Senza naturalmente aver visto lo spettacolo.

    Non ce n’è bisogno, afferma padre Giovanni Cavalcoli, teologo del convento San Domenico di Bologna. Che si è rivolto al Papa chiedendo sanzioni contro l’“indegno e blasfemo spettacolo di Castellucci, opera offensiva della figura di Cristo”, fino a paventare “ripercussione per la libertà religiosa, per i minori, la dignità dell’arte ed il buon costume”. Ottenendo pronta risposta da monsignor Peter Wells della Segreteria di stato vaticana, che non dubita del fatto che lo spettacolo “risulta offensivo nei confronti dei cristiani”. Senza naturalmente averlo visto.

    Ho conosciuto e frequentato a lungo, a Bologna, padre Michele Casali, carismatico stimolatore di cultura in quello stesso convento di San Domenico. Sempre fuori dalle righe, dalle regole rigide. Amava il teatro anche per storia personale, era un figlio d’arte, il padre impresario teatrale, la madre cantante lirica. Mi chiedo cosa ci saremmo detti di fronte a questo scomposto, paradossale attacco a uno degli artisti più spirituali della scena contemporanea.

    Si può rispondere, come in Francia, facendo appello alla libertà della creazione. La libertà dell’artista di provocare, di fare scandalo. Il delitto di blasfemia non esiste ancora, e nessuno può pretendere di intervenire sul contenuto di un’opera, di vietarla o di impedire al pubblico di accedervi, dicono là. Tutto vero. Ma si sfugge così, in nome di una astratta libertà artistica, alla sostanza della cosa, al fatto che lo spettacolo di Castellucci certo può essere disturbante, ma tutto può essere fuorché blasfemo. Restiamo a quello che si vede. Qualsiasi “spiegazione” è fuorviante.

    La breve performance si dipana in tre momenti, o tre movimenti. Il primo, che prende quasi l’intera durata dello spettacolo, è un dramma umano, celato nelle forme di un teatro borghese sospeso nel vuoto della sala. Un letto da un lato, dal lato opposto il divano di un salotto di un bianco immacolato. Un dramma che mette di fronte due uomini. Uno ancora giovane, ben vestito, già sul punto di uscire di casa quando deve far fronte all’incontinenza dell’altro, il padre anziano. Pazientemente lo spoglia e lo pulisce, gli cambia il pannolone, lava alla meglio per terra. Non ti devi scusare, dice per confortarlo. Ma quando ha finito, quello già ricomincia, in un reiterarsi della stessa azione. Ma porca puttana, papà, non ce la fai a tenerla?, urla l’uomo esasperato. Ora piange anche lui, il figlio. Gesù, Gesù…

    È propriamente una Passione. Una laica via crucis che trascorre dal salotto alla camera da letto. Che si svolge di fronte al grande volto del Cristo, il Salvator mundi di Antonello che sta alla National Gallery di Londra. Ci guarda negli occhi, ed è difficile distogliere lo sguardo da quello sguardo. Il secondo movimento inizia con un cambio di luce. La scena in primo piano si annebbia. Il giovane uomo si è portato sul fondo, resta immobile davanti al dipinto isolato in un cerchio di luce. Un corto circuito. Quell’invocazione che prima era sfuggita in maniera meccanica, ora diventa un silenzioso faccia faccia.

    Poi c’è una coda, è il momento che verosimilmente è all’origine dello scandalo. Uno strappo si apre nel ritratto, su cui comincia a colare un filo di inchiostro che si allarga fino a oscurare i tratti del volto. La tela viene lacerata. E però ecco che sulla tela strappata riappare l’immagine di quel volto. Come fosse incancellabile. Così come scompare la negazione “non” che per un attimo si era aperta un varco in mezzo alla scritta lampeggiante “Tu sei il mio pastore”.

    Questo è. Davvero qualcuno può vederci una intenzione offensiva nei confronti della fede cristiana? Non sarà vero proprio il contrario? Sul concetto di volto nel figlio di Dio è una meditazione sulla sofferenza, sull’avvicinarsi di una fine della vita che può essere sentita come degradante, sulla capacità di sopportare e la tentazione della disperazione. Sta qui la sua letterale oscenità, quel metterci di fronte con la forza devastante della ripetizione qualcosa che d’abitudine sta “fuori scena”. Cosa che solo al teatro è data, non c’è film o libro che possa farlo.

    Un’ultima considerazione. Si possono certo firmare appelli di sostegno a Castellucci e ad Andrée Ruth Shammah, destinataria anche di odiose minacce antisemite. Ma il vero appello va rivolto al teatro italiano, quello pubblico in primo luogo per il suo ruolo, perché non passi una silenziosa censura. Vorremmo un impegno forte da chi ne ha la responsabilità (Mario Martone, Sergio Escobar, Pietro Valenti, Gabriele Lavia…) perché il lavoro di Castellucci possa essere visto da molti. E anche quello di Rodrigo Garcia.

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