• Sulla pista del circo danza l’Amleto al quadrato di Filippo Timi

    Che ci fa Marilyn Monroe nell’Amleto di Shakespeare? Perché è proprio lei, non c’è dubbio, bionda come tutti la ricordano e con quel vestitino bianco un po’ strizzato sul corpo, iconico come amano dire a ripetizione i più banali fra i commentatori. È proprio lei, quasi un modello della seduzione femminile ante Me Too, inquadrata al centro del cerchio di luce che si stampa sul sipario ancora chiuso, fra sospiri e preannunci di Vie en rose, all’inizio dello scatenato Amleto2 di Filippo Timi. Un Amleto al quadrato, insomma; un Amleto moltiplicato per sé stesso. Eccessivo delirante strafatto, fate un po’ voi, comunque divertentissimo.

     

    Quanto il sipario si apre, appare la pista di un circo con la gabbia delle bestie feroci in primo piano e la paglia per terra. Il circo del mondo fatto teatro. Entrate, visitate il mio serraglio. Uomini e belve in lotta. Viene forse troppo facilmente in mente la Lulu di Frank Wedekind, il prologo de Lo spirito della terra. Ma bisogna diffidare delle metafore troppo arrendevoli. Qui c’è la follia dei nostri anni, un mondo andato fuori dai propri cardini in allegria, più che l’espressionismo di Otto Dix o George Grosz.

     

    Foto di Annapaola Martin

    Al centro la pista è dominata dal gotico trono su cui è installato il protagonista, fra panneggi rosso e oro, veli che prefigurano svolazzanti fantasmi (è una storia di spettri, no?) e palloncini che ondeggiano mentre cercano di volare via dal filo che li tiene, ce n’è uno anche attaccato in cima alla spada del principe Amleto. Per dire che la tragedia è gioco e dentro il gioco bisogna scavare un poco se vogliamo trovare qualcos’altro. Che poi viene il dubbio che sia molto più filologico questo Amleto al quadrato di tante pensose meditazioni su Amleto e Ecuba.

     

    Gioca su due registri, Filippo Timi, in questo lavoro che riprende a distanza di una quindicina d’anni una precedente versione (prodotto dal teatro Franco Parenti, l’abbiamo visto in tournée al Duse di Bologna). E ci appare più maturo, come attore e regista. Dialoga col suo pubblico che ride a ogni battuta e si fa trascinare nel gioco come fosse un Hamlet horror picture show – non doveva essere tanto diverso il clima del Globe al tempo di Shakespeare. Ma intanto il gioco vero, nel senso teatrale del termine, è quello del teatro nel teatro. L’andare fuori e dentro la vicenda e i personaggi, portando allo scoperto anche il farsi personaggi degli attori, in una moltiplicazione dei rispecchiamenti. Del resto perché altrimenti un Amleto al quadrato?

     

    Accanto a lui che non disdegna la gonna fastosa di un nero luttuoso, ruotano vorticosamente le tre figure femminili su cui si appoggia sulla scena. Se prima c’è la Marilyn “bionda dentro” di Marina Rocco che nell’edipica vicenda è il vero fantasma paterno, a duettare con il capocomico interviene poi l’Ofelia simil preraffaelita di Elena Lietti che “vestita di fiori” evoca Lucio Battisti – statti lontana dall’acqua, le dice lui che sa come andrà a finire e vorrebbe smontare la trama, ma poi lei non tiene la parte, sbaglia battuta e lo costringe a ricominciare da capo, in un tormentone di ripetizioni non isolato nel corso dello spettacolo. Ma soprattutto c’è Lucia Mascino che fa una Gertrude straripante e sboccatissima, con in testa una gran cofana di capelli ricci che ne farebbe un po’ il fool della situazione se non fosse lei a dettare i tempi al figlio irresoluto per convenzione. Deflora quella poveraccia di Ofelia, gli intima. Si appoggia a gambe larghissime sui braccioli del trono per prepararsi a soddisfare le voglie maschili, che tanto lo sa che sono tutti maiali uguali, il re morto e il fratello che ha preso il suo posto nel letto. E intanto però osa una putativa nudità, guanti lunghi e scarpe a tacco alto di un rosso squillante, con i brillantini a coprire i punti giusti come le soubrette d’antan. E sceglie questa mise inappropriata, diciamo così, per raccontarsi. Gli studi scientifici all’università prima di essere rapita dal teatro. E un definitivo: non voglio tornare ad Ancona.

     

    Comunque bella, canta ancora Battisti. Ma lo spettacolo si chiude sulle note dolenti di Nothing compares 2 U, bellissima quando la canta Sinéad O’Connor, qui però diluita nella versione crooner di Jimmy Scott. Buona notte, mamma. Amleto non crede alle lacrime.

     

    © Gianni Manzella

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