• Guardare al presente da un tempo futuro. Fahrenheit 451 secondo Sotterraneo

    L’ingombrante aggettivo “distopico”, sia che alluda a una utopia negativa o a una realtà immaginaria del futuro percepibile nel presente, sembra condannare Fahrenheit 451 a un destino di profezie mancate che dalla rivoluzionaria Stella rossa di Aleksandr Bogdanov arriva al 2001 dell’Odissea di Kubrick. Non sembra questo lo spirito con cui i tre artefici di Sotterraneo si sono accostati al romanzo scritto da Ray Bradbury nel 1953 (e in parallelo al film di François Truffaut che pure appartiene a un altro momento storico e culturale, e poi Julie Christie però…). Non è questo almeno ciò che lo spettatore può cogliere in Il fuoco era la cura, ultima creazione dell’ensemble toscano presentata al Fabbricone di Prato, ideazione e regia di Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa al quale si deve anche la scrittura del testo. 

    Foto Masiar Pasquali

    Se proprio una forma verbale si volesse trovare per lo spettacolo, bisognerebbe parlare di futuro anteriore. Cioè di un futuro che già è diventato passato, o sta per esserlo. Guardare da un tempo futuro, e pensare di viverlo nel presente. Non siamo lontani dall’angelo della storia di Walter Benjamin, che vola verso il futuro con lo sguardo rivolto al passato, a cui non per caso aveva felicemente attinto la precedente creazione di Sotterraneo. Dove insomma il futuro è il mezzo, ma ciò che interessa è il presente. Qui due piani temporali e linguistici si sovrappongono continuamente. C’è il racconto dello spettacolo a cui stiamo assistendo, una sorta di surreale making of; e c’è lo slittamento all’anno 2051, il futuro anteriore in cui gli stessi cinque interpreti, seduti in fila su seggioline in faccia agli spettatori, partecipano a un incontro un po’ clandestino, rispondendo a domande che possiamo soltanto immaginare sullo spettacolo di un quarto di secolo prima. La guerra atomica ci fu, anche se non è certo che abbiamo vinto “noi”. I roghi di libri non servono più perché nessuno li legge… Ma viene presto il dubbio che nel romanzo parallelo che stanno scrivendo ciò che interessa è quel che è successo nel mezzo. I passaggi progressivi che hanno portato a quello spaventoso futuro. I tanti “incolpevoli”, secondo la definizione di Hermann Broch, che si sono a ogni passo adattati.

     

    Il racconto procede a sbalzi, com’è nello stile di Sotterraneo. Entrano concentrati sui grossi volumi che tengono aperti alla prima pagina, cercando inutilmente di memorizzarla, nel vano tentativo di diventare loro stessi uomini-libri come vuole il finale ottimistico del romanzo. Presentano i personaggi che interpretano. Montag, riluttante pompiere incendiario. La moglie Mildred che passa le giornate attaccata a un visore interattivo, a guardare una danza di clown bianchi. La giovane Clarisse che vive ai margini della legalità, cioè si concede un pensiero autonomo e a pagina 33 del romanzo scompare… Le azioni vengono prima spiegate e poi eseguite con le parole del romanzo o il sonoro del film, nel doppiaggio italiano. Le poche risorse produttive hanno messo fuori questione le idee colossali che avevano in mente. Un’autopompa che entra in scena in retromarcia e ruota su sé stessa rivelando dall’altra parte l’interno del vagone di una metropolitana. La cabina di pilotaggio di un jet che porta le bombe verso il fronte. No, il budget di produzione non basta. L’incidente stradale simulato per togliere di mezzo la strana Clarisse diventa un volo sulle braccia dei compagni – ma la ritroveremo alla fine avvolta dalle bende, prima di morire ha chiesto di vedere per un’ultima volta la Danza di Matisse. E non mancano le immagini che aggiungono un tono pop, come la danza dei pompieri in tuta rossa e casco integrale, conclusa a girare intorno alla colonna luminosa che trasforma in un totem il getto verticale del lanciafiamme. O il passaggio sul fondo di un SILENCE scritto da neon rossi. 

     

    Due schermi in alto un po’ convergenti proiettano le didascalie che commentano in maniera dialettica l’azione. Tesi e antitesi, poema e antipoema. Perché rovinare una bella storia con la verità? / Perché rovinare la verità con una bella storia? Oggi è prioritario lanciare un messaggio / L’artista non è un postino. L’artista e la sua opera coincidono / L’opera è autonoma e il suo valore prescinde da chi l’ha scritta. Ed è bene che qualcosa insinui il valore del dubbio, laddove la distopia lavora soltanto su bianco e nero fatalmente predicatorio. Anche Mildred si è convinta di essere intrappolata dalla sua parte nel ruolo di una casalinga americana anni cinquanta, ancora attuale, dopo settant’anni. Mentre i brani della colonna sonora richiamano altrettanti libri, non se ne scappa. White rabbit dei Jefferson Airplane anni sessanta con l’Alice del reverendo Lewis Carroll e così via. Mimati sulla scena in una serie di tableaux vivants nello stile del vecchio Living che loro, i ragazzi di Sotterraneo, non hanno ovviamente conosciuto (e sono bravi Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu e Cristiana Tramparulo, passato il primo sconcerto di non vedere sulla scena nessuno dei volti storici del gruppo). Play with fire dice la canzone che accompagna la danza dei clown bianchi. Hanno preso loro il possesso della scena, anche i nostri cinque attori hanno dovuto adattarsi. Puro entertainment, ma è l’unico teatro che è rimasto. Nel 2051, naturalmente.

     

    © Gianni Manzella

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