• A Milano i Premi Ubu 2013. Vince Il panico di Ronconi

    Il panico dell’argentino Rafael Spregelburd con la regia di Luca Ronconi è il migliore spettacolo della scorsa stagione per i Premi Ubu 2013. La cerimonia di consegna dei premi, condotta da Giuseppe Battiston, si è svolta lunedì 9 dicembre presso il Piccolo Teatro “Paolo Grassi” di via Rovello, a Milano.

    Nel corso della serata sono stati anche presentati il Premio Alinovi-Daolio, assegnato a Maurizio Cattelan, il Premio Rete Critica assegnato ad Alessandro Sciarroni e il volume Il teatro che credi di conoscere. Le carte patafisiche di Franco Quadri e della Ubulibri, edito dalla Fondazione Mondadori.

    Pubblichiamo qui di seguito la lettera scritta da Gianni Manzella.

    Cari Ubu,

    mi chiedete di dire a voce alta perché, questa sera, vorrei attribuire un premio alla Memoria, nel senso proprio e non figurato della memoria dello spettatore, quella cui è affidato il compito sempre più gravoso di far vivere il teatro nel tempo, di darne testimonianza.

    C’è una ragione contingente, certo. È stato un anno di lutti, quello che si avvia al termine. Se ne sono andati straordinari maestri della regia contemporanea come Massimo Castri e Patrice Chéreau; un artista inqualificabile come Paolo Rosa, sempre a cavallo dei generi e delle tecniche; attrici di generazioni diverse e anche di storie personali assai diverse come Franca Rame, Mariangela Melato, Franca Graziano o Luisa Pasello, meno delle altre presente sulle smemorate pagine dei giornali ma non dimenticabile da chi la vide con la sorella Silvia affrontare le parole di Marguerite Duras. O ancora un geniale inventore di una lingua teatrale qual è stato Franco Scaldati, poeta della scena vivente palermitana, capace di scavare nelle zone d’ombra della sua città…

    È come se un poco alla volta si cancellasse una storia che è stata anche la nostra. Parlo della generazione che ha fatto in tempo a vedere su un palcoscenico Carmelo Bene e Leo e Perla; che ha ascoltato Julian Beck e Grotowski; che troppo presto ha perduto maestri coetanei come Antonio Neiwiller e Thierry Salmon. Che oggi con più urgenza può sentire lo sgomento di questo passaggio. Ma non è generazionale una riflessione che coinvolga lo spettatore nei frammenti di un discorso teatrale.

    Per i maestri del Novecento si è trattato anche di inventare uno spettatore. Ciò che quel secolo ha concretamente voluto affermare è la presenza di uno spettatore partecipe anziché osservatore passivo dell’evento. Costretto a prendere posizione dalla libertà di orientamento offerta dallo spettacolo: non solo fra i tanti spettacoli possibili ma a come connettere la materia fornita dallo spettacolo – che vuol dire, in qualche modo, pensare politicamente.

    C’è come un passaggio di testimone che si realizza, nello spettacolo, dall’artista allo spettatore, ed è la consegna allo spettatore della memoria della scena, e con essa della sua responsabilità. Nella consapevolezza che lo spettacolo più duraturo non è forse quello che si consuma nell’effimera esperienza della sala teatrale, ma si fa invece nella memoria dello spettatore. Dove azioni, parole, corpi diventano emozione, e da lì conoscenza.

    Mi torna in mente un momento esemplare di Fastes/Foules, lo spettacolo con cui si erano conosciuti in Italia Thierry Salmon e i suoi giovani compagni dell’Ymagier Singulier. Gli spettatori che all’inizio si trovavano isolati nelle tante piccole stanze in cui era suddiviso lo spazio scenico allestito all’interno di un capannone industriale, in un rapporto in qualche modo esclusivo con attori diversi, al sollevarsi di quel labirinto di lenzuola stese si ritrovavano d’improvviso tutti insieme in un unico spazio, nel mezzo dell’azione. Tornando a essere, o forse diventando per la prima volta una comunità. Quella a cui, da quel momento, è affidata la memoria fragile del teatro.

    Con affetto,

    gianni manzella

     

     

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