Inizia con un tuffo nell’acqua Dido and Aeneas, prima incursione di Sasha Waltz nei territori del melodramma. Una giovane coppia si cala dalla passerella sovrastante dentro la grande vasca vetrata che prende quasi per intero il palcoscenico del teatro Comunale di Ferrara, per due sere ospite in esclusiva dello spettacolo prodotto con l’Akademie für Alte Musik di Berlino. Nuotano esposti alla vista come dentro un gigantesco acquario. Corpi che si inseguono leggeri, si cercano, si toccano e si lasciano. Vesti e capelli che fluttuano senza peso nell’elemento liquido. Altri poi li seguono nell’acqua, dando corpo a figure fiabesche, i tritoni e le nereidi del libretto seicentesco. A turno risalgono, si asciugano e cambiano d’abito a vista, mentre la vasca si va lentamente svuotando e il sipario si chiude dietro i due cantanti giunti in proscenio.
È un fascinoso momento spettacolare questo che traduce il prologo di ambientazione marina dell’opera di Purcell in un balletto acquatico. E dà il segno dell’impresa tentata dalla coreografa tedesca, che va ben oltre la tentazione di fare di Dido and Aeneas un pezzo danzato. Non è un caso forse che Sasha Waltz abbia scelto, o sia stata invogliata dalla scelta di un lavoro fuori dai canoni, quasi indefinibile per genere nel suo originario intrecciare parti cantate e danzate e musiche di scena. E che per giunta ben si presta a un intervento creativo, oltre che per l’incompiutezza in cui ci è giunto, grazie all’esuberante miscela di mitologia e fiaba, di streghe e tempeste scespiriane, di incantesimi e violenze che vi si coagulano, attorno a una fatale storia d’amore e abbandono.
Quando si riapre il sipario, la vasca non c’è più. Nello spazio vuoto si muovono lenti due danzatori, nel silenzio assoluto del gesto. Con la musica entrano altri interpreti. A gruppi, introducendo un apparente disordine. Uomini vestiti di scuro, giovani donne dai lunghi abiti chiari. Si abbandonano alle corse, alle costruzioni coreografiche che caratterizzano il linguaggio gestuale di Sasha Waltz, corpi che si arrampicano in mobili piramidi, che scivolano l’uno sull’altro. O accompagnano con ironici passi di balletto i movimenti della musica barocca, condotta con piglio mimico da Attilio Cremonesi. Nella parete di fondo di un grigiore solarizzato si aprono due finestre che sono buchi neri capaci di inghiottire o gettare fuori altre figure ancora, che nelle parti cantate progressivamente si definiscono come personaggi di una vicenda. Amore in tempo di guerra, e non può che essere diviso, come mostrano subito i due gruppi che si formano, dalla significativa (ancorché non esclusiva) dominante maschile e femminile, i troiani di Enea in fuga dalla città distrutta dalla guerra, la corte cartaginese di Didone, regina innamorata dalla pelle ambrata (è la francese Aurore Ugolin).
L’intervento registico più visibile è il raddoppiamento dei protagonisti, fra gli interpreti cantanti e le loro ombre danzanti che sembrano trascinare anche i primi dentro il flusso del movimento. Ma ancor più impegnativo è l’aver sottratto il coro alla abituale staticità, per farne invece parte dell’azione scenica, fino a farlo strisciare seminudo fuori dalle botole che si aprono sul palco nel sabba stregonesco che evoca la rovina di Didone. Qui la coreografa di Karlsruhe si gioca la partita. Christoph Marthaler, che pure è artista di formazione musicale, di fronte alla possibilità di dare veste teatrale alla Incoronazione di Poppea di Monteverdi, fa un passo indietro e con Winch only ribalta la commissione in una creazione del tutto originale, un magistrale corto circuito di testi e musiche diverse. Al contrario Sasha Waltz accetta la sfida di confrontarsi con l’opera in quanto tale, cioè di interrogarsi sul senso e i modi della sua riproposizione oggi. Lascia intatto l’involucro musicale (integrato con altre musiche dell’autore per supplire alle parti mancanti, come spesso avviene) ma ne svuota dall’interno l’esile struttura drammaturgica, si riappropria della forma del masque riempiendola di una teatralità contemporanea. Dilata alcuni momenti come il gran ballo in maschera che segue l’incontro di Enea e Didone, un tripudio di colori vivaci intorno a un palchetto da comici dell’arte, costumi fantasiosi rossi e viola, ombrellini e parrucche rosa, panni che volano per aria e marionette umane appese ai fili di un invisibile burattinaio. O introduce intermezzi che riportano al qui e ora della rappresentazione, come la lezione di danza di un coreografo armato di frusta.
Certo questo Dido and Aeneas non ha l’impatto emotivo e la terremotata violenza di Gezeiten, lo spettacolo più recente di Sasha Waltz & Guests. E rischia di scontentare tanto le beghine del melodramma quanto chi vorrebbe maggiore radicalità eversiva e diffida di tanta piacevolezza. E tuttavia come non essere conquistati dalla malinconia notturna del finale, quando il fondale si solleva e appare la nuda verità del teatro, la povera attrezzeria dell’illusione. La dissolvenza del gesto. I piccoli fuochi che si spengono lentamente nel silenzio della sala.