• La Passione secondo Virgilio. Con Sieni nelle pieghe del corpo

    Un caposaldo delle avanguardie novecentesche, danzato dalla compagnia sul palcoscenico di un teatro di tradizione; una creazione che porta in scena all’interno di uno spazio non convenzionale quasi un centinaio di interpreti, una comunità consapevole della propria imperfezione ma non tanto da farsene condizionare. Fra questi due estremi, umani e linguistici, si inscrive l’ampio progetto “nelle pieghe del corpo” che Bologna ha dedicato a Virgilio Sieni, a cura di Emilia Romagna Teatro. E non è un caso, giacché l’eclettico coreografo toscano da tempo trascorre dalle prove con la sua compagnia a pratiche indisciplinate, con anziani o bambini. Dove quello che conta è comunque la traccia lasciata dal gesto del performer.

    Prendiamo quest’ultima Cena Pasolini, presentata nel fastoso salone del duecentesco Palazzo del Podestà che si affaccia su piazza Maggiore, per altro non estraneo a rappresentazioni teatrali in epoca rinascimentale. Lo sguardo all’ingresso nella sala si lascia sorpredere dai cinque lunghi tavoli grigi, affiancati su un lato da una panca, che di traverso suddividono lo spazio deputato in altrettante zone; e all’interno di ciascuna di queste, a ridosso della tavola, un gruppo di tredici interpreti si muove con movimenti lenti. Sono infatti altrettante “ultime cene” quelle qui mentalmente evocate, pur senza tendere a una qualsiasi interpretazione, gestuale o figurativa. Sul fondo della sala un gruppo corale intona un Agnus dei.

    cena pasolini foto_provecp

    Viene piuttosto suggerita una sorta di identità di ciascun gruppo, che passa attraverso l’evidente scansione anagrafica e si trasmette ai loro gesti. Quello centrale è composto solo da bambine, anche giovanissime; quelli ai due estremi opposti da persone anziane, anche ottantenni. Gli spettatori che possono muoversi liberamente lungo il perimentro del rettangolo di gioco un poco alla volta imparano a riconoscere corpi e volti, a entrare in sintonia con quei loro gesti lenti che si perdono nell’aria, con cui si cercano e si prendono, si sostengono a vicenda e si trascinano a terra, creano catene umane che subito si sciolgono. A volte battono in alto le mani, o le battono sul petto. Solo le bambine per una volta possono irrompere di corsa negli spazi adiacenti, con i loro corpi elastici cercano il ballo, prima che tutti quanti insieme percorrano avanti e indietro la sala come un’onda che avanza e si ritrae, sommergendo le barriere che si frappongono.

    C’è il segno di un dolore in questa Cena. Come sulla soglia di un regno dei morti che non ha altra voce. Pasolini vi entra di sbieco, come sentimento primitivo di ciò che si oppone a una umanità disumanata. Ma il pathos che nasce da questa gestualità muta e dolorosa potrebbe anche ricordare le commoventi Passions di Bill Viola. Una Passione secondo Virgilio, si potrebbe dire, che sembra un po’ il segno dell’intero progetto.

    Il Sacre di Igor’ Stravinskij, ovvero La sagra della primavera come suona l’infelice traduzione diventata d’uso comune, è uno dei momenti fondanti della cultura del Novecento. Non per caso dal lontano archetipo, la quasi leggendaria interpretazione che ne diede cent’anni fa Vaslav Nižinskij con i Balletti russi di Djagilev in una tumultuosa serata parigina, non ha cessato di calamitare l’attenzione di artisti molto diversi, fino al vero e proprio balletto meccanico inscenato di recente da Romeo Castellucci. Non perché sia un banco di prova, come si usa dire, ma per la forza nervosa di una musica che chiede di essere agita. Martha Graham ci arrivò novantenne, a conclusione di un lunghissimo percorso artistico; al contrario fu un punto di partenza per Pina Bausch, quando ancora la coreografa di Wuppertal stava esplorando la vocazione teatrale della sua danza. Straordinaria opera al nero, quest’ultima, che su una superficie terrosa metteva da parte ogni sovrastruttura folclorica per calarre l’azione nel presente, mettendo a nudo il conflitto da cui nasceva la violenza esercitata sull’eletta e la rivolta impotente e indomita della donna.

    Anche Virgilio Sieni dichiara apertamente il proprio disinteresse per le “scene della Russia pagana”, per l’elemento barbarico dell’ipotetico rito, nella creazione che ha debuttato sul palcoscenico del Teatro Comunale (lo spettacolo è prodotto dall’ente lirico bolognese). La stessa condensazione del titolo a programma nel solo primo termine, Le sacre appunto, sembra alludere a una cancellazione dell’argomento o di una narrazione, per evidenziare invece un elemento rituale che sta fuori dal tempo. Del resto il lavoro coreografico di Sieni, il lavoro di “trasmissione del gesto” che l’impegna da tempo, pur così attento al mondo della fiaba, non è mai narrativo, non racconta e non interpreta, è piuttosto teso a una messa in opera del corpo.

    Preludio le_sacre_prima_07-03-15_i4q2572_c2a9rocco_casaluci_20151

    Prima c’è però un Preludio danzato da sei giovani donne di cui si intuisce, più che realmente vedere la nudità nella penombra nebbiosa della scena. In fila fianco a fianco, si muovono con gesti lenti e in una sorta di sfasamento. Come il propagarsi di un’onda. Poi i movimenti si aprono sulla scena, si abbassano a toccare il suolo, seguendo quelli della musica, i quattro movimenti della suite per contrabbasso solo eseguita dall’autore Daniele Roccato. Però conservando una rarefazione che dal rallentato arriva all’immobilità, lasciando emergere qualcosa di primordiale, in senso emozionale più che antropologico. Si comprende poi quanto questa sorta di archeologia del gesto tenda in realtà a creare un dizionario gestuale che si dispiegherà anche nella seconda parte del dittico.

    Nella Sagra della primavera le presenze in scena appaiono raddoppiate dall’ingresso di altrettante figure maschili. Ma il maschile e il femminile non sono qui universi violentemente contrapposti, com’era per Pina Bausch, quanto piuttosto le metà complementari di un ensemble che esalta la dimensione collettiva. Come fosse un unico corpo che si dilata e si contrae, che si spezza in segmenti che poi si riuniscono di nuovo, secondo linee geometriche primarie, un cerchio o una retta. Oppure cercano un’accelerazione, sperimentano l’energia di una corsa, fra piccoli salti e passi laterali che esaltano la mobilità delle braccia, quasi adagiandosi sulle esplosioni ritmiche della musica di Stravinskij (l’orchestra del Comunale è guidata dal giovane direttore tedesco Felix Krieger). Le luci si sono fatte più nette; i corpi un po’ più vestiti, non tanto però da assumere un’individualità o una connotazione sociale.

    Sacre 215228908-669917bf-a14f-447b-81ff-b86595b6860a

    Quando una di loro, apparentemente la più esile e fragile, viene presa e tenuta sollevata o capovolta dagli altri danzatori, ci si riconnette al motivo originario del pezzo danzato, il sacrificio dell’eletta. Ma non c’è pathos né violenza in questo, non c’è volontà drammatica, ciò che persiste è l’immagine di una comunità che celebra la memoria del suo rito.

    © gianni manzella

     

    Post Tagged with